27/11/09

Requiem operaia

27/11/09
L'etichetta della bottiglia di vino rosso. Dice che è fatto con uva di un posto lontano. Bicchieri passati di mano in mano. Assaggi promiscui nel ventre d'un acre soggiorno. Un posto lontano che non so se mai ci son stato. È come un angelo distratto nei miei incubi ricorrenti. Che non ricordo mai.
Ci storie che fan vomitare. Notizie difficili da raccontare. Barricate. Gru occupate. Mani arrossate. Bombe che espolodono pub. Morti negate. Scontate.
Intanto però indagano delitti irrisolti. Da secoli. Il ratto delle sabine. La morte del pelide Achille piè veloce. Che fine per un eroe. Atroce e beffarda. Mentre il ladro di gatti randagi resta in libertà. E quella dei gatti si fa provvisoria. Illusoria. Nel randagismo c'è la speranza ma s'è rattrappita. Non c'è nostalgia se non d'una tisana notturna. Di una quiete diurna. Mentre sfuggo cadaveri appesi ogni giorno alle antenne della tv.
Le chiese sono chiuse. Facciamo funerali in comune. Tra prostitute giovani e belle.
Non abbiamo il coraggio di essere brutti.
Che ne è stato dei mostri d'un tempo? Pre-pensionati dai giochi di mille consolle. Ai nervi degli operai hanno sostituito elettricità artificiale. Non si lavora più. Si sta a guardare. Senza vedere. Affogare.
Nel buio s'avvicendano mosche che sniffano le nostre sostanze stupefacenti dimenticate nel retro di un clacson sfondato. Abusato. E non ci si droga più. Si va a dormire. Senza riposare. Sognare.
È stato piuttosto piacevole conoscere il tale che urla nella galleria del vento. Mille pagine ingiallite. I suoi denti anche. La sua cattiveria indignata. Gente alla spicciolata insultata e inorridita. Canzoncine natalizie in sottofondo. Boutique riscaldate. Ecco come va il mondo.
Mentre un gatto bagnato. Guarda. Passa. Se ne va.
Gira la lantera. Indifferente.

Soffitto che cola

L'orlo dei pantaloni scucito sudicio bagnato di pioggia guardato dal fondo del bicchiere d'un pub metropolitano suburbano
mentre pensavo ai pomeriggi colati dai soffitti sui nostri letti trapuntati con ghirlande e tele immense e mari ripiegati nel rimbocco del lenzuolo
sdraiati al suolo come ostaggi minacciati sequestrati dal tempo che cola sdegnoso dai soffitti delle nostre stanze buie dai vetri appannati dagli autobus affannati che non si ferman mai
non si ferman mai dove volevi.
Il tempo che corre ed io non ho
nessuna voglia di stargli dietro.
Tu mi chiedevi dei miei polmoni rattrappiti dei miei giorni distribuiti da macchinette per il caffè che si mangia tutto e non da il resto e del resto non resto a guardare la moneta senza pensare alla caduta grave di un grave pensiero e peccato che il resto non ritorna indietro
ti risposi la notte che fu mi mangiavo le unghie nel tunnel d'ulivi da cui vedi il mare che appare nell'onda che gioca a stellarsi delle barbe bianche d'ulivi invecchiati che volano e tu mi chedevi se t'amo
risposi che sì non so dirti di più ma so che il pensiero del giorno che viene riscaccio più in giù nelle arterie agitate delle tangenziali che andranno a imbucarci ogni santo weekend nei condotti stradali nei video dei telegiornali ascoltati in sottofondo e gira il mondo gira in tondo ed io guido ed arrivo.
Ed il tempo che corre e non ho
più nessuna voglia di restargli appreso.
E le coperture dei divani i loro alibi di lana per i furti del pomeriggio le facce assopite del treno al mattino d'inverno la pioggia sugli orli dei jeans rimboccati ma non abbastanza
gli aeri decollati in orario deportano clandestini e non ho nessuna paura del viaggio
se tu mi prometti che non tornerò a scroccare caffè negli atrii dell'università clandestino della mia diversità pronominale neosensibile ventrale
come un mobile ikea imperfetto che si sfà nel colar dal soffito del tempo che corre all'ingiù
e tu che mi porti lungo i viali del porto all'insù
ho girato la testa guardando tramonti dall'acqua che brilla e fa mille di una scintilla nel cielo.
Ed io tempo che corre e non ho
e tu vai.

13/11/09

Cuci na

13/11/09
Cammina scuce e divora
mi manca l'aurora e l'odore dei muri imbiancati dei piatti sporchi se ti chini a bere in cucina
avvicina la bocca assetata al rubinetto
dove mi metto?
(se il tempo ti cerca non farti trovare)
(se il buio ti assale non farti inghiottire)
(se il tempo lo cerca il buio lo assale lo inghiotte)
Cammina fuggi ed illumina
dove ti metti.

Cinema giardino

Ti sei mai ritrovato
nascosto nel letto sbagliato bagnato, inghiottendo cianuro e sognando
la fiamma d'un cerino in chiaro scuro?
La bimba si china ad accendere un cero, la navata invasata d'incenso sognante suadente
Ho un lavoro dipendente, temporaneo, signorina ne accende uno anche per me?
Per me che t'invito stanotte a guardar le mie costole rotte le palpebre nere gli affitti arretrati i vetri sfondati le auto distrutte le chiavi perdute le rughe scadute
le storie mai dette e quelle che ho già raccontato a quel figlio che un giorno farò vieni stanotte
con me ti amerò dentro al buio del mio calendario ho fatto una ics questa notte.
Andiamo a sposarci a Las Vegas, ti prego, andiamo se piove che importa se anche la pioggia ci scotta la pelle che odora di thè alla viola che importa se oggi non è

E poi non sarà
una festa di buonumori calendarizzati programmati palinsestati
di pasticche di incensi odorosi di gite fuori porta alle feste comandate dissestate ammuffite rivoltate benedette.
Al circo
aperto solo al lunedì, ci andresti mai?
Al circo senza animali addestrati senza gente che rischia la testa per una risata
richiesta dal medico espressamente
ci andresti con me
arrampicati abbracciati sulla ringhiera d'un cavalcavia a gettare dall'alto
i petali rotti dal gambo sedotti dal vuoto dei viadotti dal volo dal suono del suolo che batte il suo tempo che cade
s'appoggia in silenzio e solo
la luce d'un faro che come in un film
di seconda visione che importa se piove guardiamo le gocce
la tela lo schermo del cinema all'aperto si crepa
di freddo la sedia da banco di scuola il legno scheggiato le cicche le scritte le tracce dei bimbi
e il rumore ronzante che fa il proiettore
il film della pioggia che cade il ronzio che risale pian piano dal fondo
lo sfondo l'abbraccio ed il bacio bagnato a Las Vegas in chiesa nel letto
ovunque in un lampo di mondanità
la mia vanità si disgrega
scolora pian piano la seta del mio brutto film di seconda visione e resta soltanto
quel poco di quello che ho
ed è un petalo un cumulo spesso di fogli bagnati una lunga bobina incosciente
sgualcita sbiadita e chiaroscurita
nel buio del cinema sul
cavalcavia
e buon film?

03/11/09

Camomilla a colazione

03/11/09
Entrata nel mondo dei grandi
nel mondo dei sogni interrotti agitati sovraesposti nevrotizzati
nel mondo dei sogni di bimba
nel mondo dei sogni a portata di mano
nel mondo dei sogni che iniziano col suono dei passi sulle assi di un palco nel silenzio di mille persone (e che c'è di più magico e onirico e aperto al miracolo delle possibilità?)
ed il tempo di una canzone che fa zumpapà zumpapà zumpa-pa-pa-pà
chissà se
(svegliata sudata esaltata spettinata stropicciata stanca felice
calzettoni abbassati a metà sul poggiolo la brina che si scioglierà nel sole già alto nell'aria che sa di brioches di fragranze di sere svogliate nell'aria sgualcita il pigiama è la felpa da calcio di un bimbo che un tempo correva e ora sta a ricordare i bei tempi nel dolce ronzio indelicato di elettrodomestici fredde piastrelle catene da neve che suonano oltre il portone il citofono il vento la televisione del vecchio vicino ed il telefono porta il buongiorno del nottambulo il giorno che fu)
nel pentolino
si preparerà
camomilla per colazione?

La camera della polvere

La camera della polvere
nel suo buffo profilo sdentato svagato assimetrico stonato
creato da molti assonnati inquilini passati di qua nel folto svagarsi dei grani vaganti nel fascio di sole che taglia
la stanza della polvere
nel suo spolverarsi casuale causale di molti starnuti svenuti e svaniti nel sogno di un giorno di luce tagliente
suadente, quand'ero studente
studiandone il moto di microparticelle quel muoversi incerto e ribelle che ha
il granello di polvere cerca la sua superfice il suo raggio di sole, candisce di colpo d'aurore screziate
sfuggite un giorno lontano alla penna d'un pittore cubano passato di qua e morto soltanto qualche anno fa
è la foto di un vecchio di un panorama svanito è il sogno cruento di un giovane amante tradito
è il libro che narra di guerre e di bombe
è la stanza della polvere
che la vista e la memoria confonde
è seguire la linea di una cucitura nel retro di un vecchio divano che sa di vestigia di sogni interrotti di arsura
è l'ansa del legno l'intaglio la curva e ti immagini il mondo che c'è al di là della paura
nel fitto di una nevicata nella ruga di una premura.
La stanza della polvere
appena la apri ti investe il suo odore di canfora e miele seccato di fieno tagliato di prato
di quel che t'immagini fosse un dì di lontane riscosse
di mille sommosse e osterie di sommesse carinerie di tazze che cozzano all'ora del thè
di mani gelate di buffi casquè
di ricordi futuri che devi aspettare di vaticini
che nel fascio di luci ti chini a cercare
è un luogo che accumula tutti i perchè i non lo sapevo i forse ed i se
le reti dismesse gli antichi papiri le rose essicate le spezie per il vin brulè
i libretti d'opera i canti strozzati gli aborti i suicidi le morti dei giorni in cui io non c'è
c'è una stanza della polvere
se apri e respiri tossisci
anche dentro di te.

30 febbraio

30 febbraio
nato il
andato per mari e monsoni e tempeste perfette
imperfette le vite vissute volute negate godute
un rivolo d'acqua che scende le sponde confonde le ossa nel legno gonfiato dall'acqua, si allarga si sforza
cigolano sartie e morsi di ferro battuto
clang salta un chiodo
clang salta un chiodo
assi e traversine urlano come bestie al macello quel 30 febbraio che il mare bastò a devastare gli scogli e i relitti e conflitti di capo Horn
non so se si può immaginare il clamore dell'albero: crack
e foglie e rami violati caduti nel buio del vento del nord che la luce si porta offuscata nel fondo sul fondo più a fondo e confondo nel bosco il vascello nel mare il ruscello
nel nodo che porto qui al polso, il nodo d'un genoa divelto
e mi volto
nel sonno profondo sul fondo del mare, riportano a galla la stella polare,
finita quaggiù e dagli ippocampi trainata di nuovo a volare
a vegliare i tuoi sonni.

(Se realizzi un sogno,
non hai altro che viverlo.)

L'asfalto bagnato e la pioggia che i fari stellifica
il freddo lamiere barriere barelle e sirene
e fango che scivola lungo la gola è il sangue ed un bacio che mi riconsola
ennesima volta la vita mi è tolta e ridata
è quella nidiata caduta dal ramo dell'albero rotto il vascello è risorto
e naviga incerto e costeggia il canale di Beagle
l'acqua è mercurio
non puoi immaginare
è come il vacuare di mille lampare
è come vedere la stella polare nuotare.
Ricordo la luce dei fari la pioggia
ricordo ed è come in un film
un trailer che è meglio del film
è come in album di foto, il ricordo si rimette in moto ma quel che successe non è nell'immagine scelta
in quell'attimo lì quella posa la vita non è cellulosa.

(Se ti capita un sogno
non ti resta che farlo)

Se il 30 febbraio di tanti anni fa, agitando lo sfollagente l'agente m'avesse colpito ed infranto e spezzato come un albero maestro una stella cadente un auto incandescente avvilente delinquente
se lungo il corteo la tempesta contesta
avrei scelto di scegliere il mio zigomo infranto il volere insegnare
non saper imparare?